Riassunto del testo "Leggere il teatro". Nel riassunto vengono considerati tutti gli elementi che costituiscono il teatro e che servono per poter comprendere il teatro stesso come arte, all'interno della sua natura.
Letterature comparate
di Gherardo Fabretti
Riassunto del testo "Leggere il teatro". Nel riassunto vengono considerati tutti
gli elementi che costituiscono il teatro e che servono per poter comprendere il
teatro stesso come arte, all'interno della sua natura.
Università: Università degli Studi di Catania
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: Letterature comparate
Docente: Domenico Tanteri
Titolo del libro: Leggere il teatro
Autore del libro: C. Molinari - V. Ottolenghi1. Il teatro che nasce dal testo letterario
La considerazione di uno spettacolo dal punto di vista genetico equivale ad analizzare il fenomeno teatrale
nei suoi caratteri intrinsechi, nelle modalità della sua nascita e della sua formazione.
Il testo.
L’azione drammatica è in sé una situazione assoluta, conclusa in se stessa e analizzabile al di là di ogni pre
scrittura. Tuttavia possiamo classificare il prodotto teatrale sulla base di diversi criteri. Di tutte noi ci
occuperemo solo di quelli che si basano sugli apporti letterari, testuali e modellistici. Non sono gli unici
criteri, anche se possono sembrare quelli strettamente necessari: è pregiudizio diffuso, infatti, che la genesi
di un evento teatrale debba trovare il suo punto di partenza in un testo o in un modello letterario. Non è
affatto così, poiché da una parte uno spettacolo teatrale può nascere senza la necessità di svilupparsi da un
testo letterario, dall’altra può svilupparsi da un testo non letterario (uno spettacolo di balletto, ad esempio,
nasce da un testo musicale, e può o non può avere un testo letterario come secondo gradino). Il teatro che si
sviluppa a partire da un testo letterario è un tipo particolare di teatro, quello comunemente definito
drammatico, o melodrammatico, quando il secondo gradino dello spettacolo è costituito da una messa in
musica del testo. Nel teatro drammatico un testo letterario o musicale, che possiedono una loro autonomia,
vengono assunti come punto di partenza per un progetto di realizzazione teatrale. Sulla base del livello di
complessità e di compiutezza del testo (letterario nel nostro caso) possiamo classificare uno spettacolo
teatrale a seconda dell’apporto che il testo letterario ha dato allo spettacolo. Classe 1 = apporto rilevante) il
testo è un’opera letteraria compiuta e di per sé autonoma (perché non presuppone una realizzazione scenica).
Di solito questo tipo di testo ha carattere dialogico e consta di battute e didascalie. Il rapporto tra battute e
didascalie è variabile. Parlando di didascalie, non possono mai mancare. Il loro grado zero è costituito da un
segno grafico che indica l’apertura del discorso; poi si passa al nome dei personaggi e infine all’accurata
descrizione del loro aspetto. Parlando di battute, esse possono anche essere assenti. Veleno di Vitrac, ad
esempio, ha solo didascalie, e così anche gli Actes sans paroles di Beckett.
Classe 2 = apporto parziale) il testo è un canovaccio o uno scenario trama. In questo caso abbiamo solo
l’intreccio e/o i personaggi e/o le situazioni in cui si trovano questi. Un esempio tipico del genere è quello
della commedia dell’arte. Va comunque notato che gli attori, pur non avendo battute nel testo, disponevano
di zibaldoni ricchi di repertori a cui ispirarsi.
Classe 3= apporto quasi inesistente) si parla di animazione. In questo caso il testo (tra l’altro quasi mai
scritto) si limita ad alcuni elementi minimi che possono riguardare il tema, il carattere dei personaggi,
l’ambientazione o altro. In questa classe rientrano anche l’elaborazione collettiva su un tema e gli
happenings. L’happening (=accadimento) è quella forma di teatro in cui manca una struttura rappresentativa
che comporti una storia e dei personaggi: gli attori agiscono interpretando se stessi, compiendo azioni spesso
minuziosamente previste. Negli happenings mancano quasi sempre le battute e i dialoghi.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letterature comparate 2. Il concetto di interpretazione teatrale
Dato un testo dialogico compiuto,l’interpretazione è il rapporto tra questo e lo spettacolo teatrale. Emilio
Betti distingue tre tipi di interpretazione: rappresentativa (adeguata a testi drammatici e musicali),
ricognitiva (adeguata a testi storici e letterari) e normativa (adeguata a testi giuridici e normativi).
Come dice il termine, l’interpretazione rappresentativa è quella che meglio si accorda con la
rappresentazione. La rappresentazione, a sua volta, com’è chiaro soprattutto con un testo musicale, tende ad
essere esecuzione. Se la rappresentazione è esecuzione, è chiaro che il testo è una notazione, considerata
nella sua interezza, senza cioè distinzione fra battute e didascalie. Questa metafora dell’esecuzione e della
notazione ha generato spesso equivoci quali l’incompletezza del testo drammatico senza la messa in scena, e
la compiutezza del testo al di là della realizzazione.
La notazione, per definizione, non è completa, ma per l’esecutore, date certe condizioni di conoscenza, è
sufficiente. Quando l’esecutore ha ben chiare queste condizioni, la notazione è più sommaria. Quando
invece il linguaggio teatrale va ancora costituendosi, e gli autori sono incerti sull’esecuzione, il testo diventa
più completo, e aumenta soprattutto lo spazio dedicato alle indicazioni didascaliche. Ruffini ha semplificato
questo problema distinguendo tra “messa in scena” e “collocazione in scena”: la prima piega gli elementi
dello spettacolo al servizio del testo, e avviene nel secondo caso citato; la seconda impiega moduli, o codici,
già fissati dalla tradizione e altamente formalizzati, e avviene in condizioni di chiarezza di esecuzione.
Volendo tentare un breve excursus storico - letterario sulla funzione della notazione, potremmo partire dalla
tragedia greca, dove le didascalie sono ridotte al grado minimo, dato che l’autore era anche il regista.
Nella Regularis Concordia (un manuale normativo che descriveva e insegnava i riti dei conventi benedettini
inglesi, verso la fine del X secolo) invece, le indicazioni sono molto precise e fitte, ciò perché gli esecutori
devono necessariamente imparare la gestualità prescritta, che non conoscono.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letterature comparate 3. L'interpretazione ricognitiva del testo
Nella commedia italiana del ‘500, come sarà anche con Goldoni nel ‘700, le indicazioni sono molto rare e
limitate alle azioni dei personaggi, mentre i prologhi tendono a spiegare al pubblico il significato della
scenografia. Nel melodramma seicentesco le didascalie sono riferite soprattutto alla scenografia, poiché ogni
scena richiedeva una ambientazione peculiare.
Le novecentesche didascalie pirandelliane investono sia la scenografia sia l’azione, non limitandosi a
descrivere le scene, bensì a spiegarle, decodificando il significato di un personaggio, di una frase, di una
situazione, cercando di evitare così le libertà interpretative di un regista.
E spesso infatti la notazione non limita la libertà interpretativa dei registi, che spesso applicano ad un
sistema scenico moduli che non erano previsti. Ecco nascere dunque una commedia di Plauto nella
scenografia prospettica del Cinquecento; ecco Shakespeare calato nel realismo storico dell’ottocento
romantico. Questi “abusi” sono una sorta di tentativi di interpretazione ricognitiva, la seconda tipologia che
stiamo per affrontare, affidate alla scenografia, che pure tradiscono, scenograficamente, ciò che intendono
rappresentare. Non sono stati rari, di conseguenza, i tentativi di restituzione delle forme sceniche originarie,
come quello compiuto dalla Elisabethan Stage Society, che tentò di ricostruire la struttura architettonica ,
l’impianto scenico e recitativo del dramma elisabettiano.
Ogni interpretazione rappresentativa finisce col diventare, almeno in parte, ricognitiva. Molti critici, infatti,
sostenendo l’inscindibilità del testo drammatico dalla sua rappresentazione, si adoperano per dimostrarlo,
tirando fuori esempi di autori come Curel, che raccontava di comporre i suoi testi ascoltando la voce dei suoi
personaggi, o Becque che lavorava davanti ad uno specchio per accertare quali gesti i suoi personaggi
avrebbero dovuto compiere per accompagnare le battute.
Esiste poi una interpretazione ricognitiva in senso stretto, quella che all’inizio abbiamo definito adatta ai
testi letterari e storici. Una interpretazione ricognitiva altro non è che una classica interpretazione critica, che
vuole definire il significato di un’opera, concepita come letterariamente autonoma e conclusa nei suoi valori
letterari, cercando di estrapolarne e rappresentarne lo spirito, evidenziando cioè i valori e le connotazioni,
tratteggiando la collocazione storica e scoprendo i valori morali e politici.
In questo senso distinguiamo diverse posizioni:
a) Significato dell’opera: unico e determinato -> messa in scena: evidenzia e chiarisce il significato.
b) Significato: unico e oscuro -> messa in scena: scoprire cosa l’autore intendeva dire
c) Significato: molteplice e complesso -> messa in scena: dà una sola delle infinite letture, individuando uno
dei molteplici messaggi e specificando il tipo di lettura che il regista ne ha fatto.
d) Significato: ambiguo -> messa in scena: scioglie l’ambiguità e ne determina arbitrariamente il significato.
e) Significato: mutevole e progressivo; si arricchisce con la storia e con la cultura del regista -> messa in
scena: privilegia le implicazioni, che aumentano e cambiano con la storia e la cultura.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letterature comparate 4. La rappresentazione tra azione scenica e realtà
La rappresentazione è il rapporto tra azione scenica e realtà. Per affrontare questa relazione è utile
appoggiarsi al concetto di icone, così come l’aveva definito Peirce: un segno che è in rapporto di
somiglianza con la realtà, avendo almeno una delle sue qualità, o la stessa conformazione, pur non essendo
qualcosa che appartiene fisicamente all’oggetto (una macchia di sangue e il colore rosso, ad esempio).
Il teatro può certamente essere iconico, ma può anche perfettamente essere denotativo, rappresentare cioè
anche un qualcosa che altro non voglia significare se non se stessa (una sedia che rappresenta una sedia).
Detto questo possiamo quindi disporre i singoli eventi teatrali lungo una linea, a seconda della maggiore o
minore presenza di elementi che mostrano se stessi, o rimandano ad altro da loro.
Tracciamo quindi una classificazione di massima:
- nella rappresentazione propriamente detta, ogni elemento rimanda ad altro da sé (l’attore rimanda ad un
determinato personaggio; la scena ad un determinato ambiente) e anche ciò che non si presenta visivamente
con un particolare status simbolico, viene comunque investito di un particolare significato nel contesto
dell’azione. Facciamo un esempio: nell’Amleto un attore interpreta il principe, è cioè icone del principe, e
ne diventa simbolo iconico (rappresenta cioè una cosa che non è quella direttamente rappresentata); il palco,
di conseguenza, senza nessun particolare lavorio scenografico, finisce per assumere le forme del castello di
Elsinore.
- Non è vero che nel teatro tutto assume una dimensione iconica. Segni e cose possono coesistere in modo
distinto e vengono riconosciuti come tali. L’attore brechtiano, ad esempio, convive con il personaggio
eppure si distingue da lui; il presentatore di uno spettacolo recita un testo, come gli attori, ma si presenta
come se stesso. In questi casi gli elementi di uno spettacolo assumono un doppio statuto, e la loro duplicità
viene utilizzata a scopi di significazione.
Un attore che durante la rappresentazione si trucca, ostentando la sua trasformazione in simbolo ma
rimanendo noto come attore, ad esempio. Questo accadeva nella rappresentazione della Principessa
Turandot di Gozzi, nella versione di Vachtangov, dove gli attori, vestiti in frac, entravano in scena
vestendosi di stracci e pezzi di stoffa vari.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letterature comparate 5. L'oggetto come simbolo nel teatro
Oppure un oggetto usato come simbolo che torna a svolgere la propria funzione: una scopa che funge da
scettro e torna scopa.
- Ciascun attore agisce come se stesso e non ci sono elementi che riguardano altro da sé. È il caso
dell’happening e del teatro di varietà. Ci sono sempre funzioni simboliche (ad esempio la funzione della
luce) ma non investono le figure della rappresentazione.
- Nello spettacolo non entrano figure riconoscibili secondo un criterio gestaltico (relativo dunque alla
percezione e alla sensazione di oggetti definibili nella loro funzione). In questi casi salta il momento della
figurazione e si passa direttamente a rappresentazioni che chiamano in causa rapporti più elementari (luce,
colore, materia). Ci troviamo nel campo dell’arte astratta.
Possiamo dunque distinguere vari modi di porsi. Dall’esposizione totale di se stessi (la confessione
pubblica), alla presentazione del proprio ruolo sociale o lavorativo (il pugile, la ballerina), alla
rappresentazione di altro da se stessi (la maschera, il personaggio). Una distinzione del genere l’aveva già
intuita Rousseau, che se da una parte tendeva a tenere distinti teatro e presenza assoluta nella festa o nella
vita politica, dall’altra aveva intuito che rappresentazione e non rappresentazione sono i due poli di uno
stesso fenomeno. Un oratore mostra se stesso, e quindi lo interpreta, un attore mette in scena sentimenti
diversi dai propri, rappresentando un essere non reale che finisce per annientarsi.
La rappresentazione più riuscita è quella che conduce all’illusione perfetta, quella che paradossalmente
annulla nello spettatore la cognizione di trovarsi davanti ad una scena, convincendolo della realtà di ciò che
sta vedendo.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letterature comparate 6. Le funzioni della rappresentazione scenica
Una rappresentazione scenica prevede la presenza di una serie di operatori, con compiti differenti. È
possibile che più compiti siano assolti da una sola persona, o che un solo compito sia svolto da più persone,
ma le singole funzioni possono essere analizzate singolarmente.
Può accadere che alcune funzioni rimangano irrisolte nella fase progettuale (ad esempio la funzione registica
nelle feste popolari), o che siano appositamente mancanti (la non scenografia e la non costumistica in
“Mistero Buffo” di Dario Fo) per svariate esigenze.
Qui si terrà conto esclusivamente della considerazione astratta delle funzioni che partecipano alla creazione
dello spettacolo. I rapporti tra le funzioni sono stati sistemati da molti critici e studiosi; qui ci limiteremo a
enucleare quella di U. Eco e di J. Lotman, quest’ultima, non costruita appositamente per il teatro.
Eco propone il seguente schema:
Autore = I emittente -> Regista = I ricevente e II emittente -> Attore (+ tutti gli altri operatori) = II ricevente
e III emittente -> Spettatore = III ricevente
Lo schema di Eco è però uno dei tanti possibili, certamente il più storicamente consolidato ma non l’unico.
Non è detto infatti che non si possa partire dalla figura di un attore, o da un brano musicale, o da una
ambientazione. Non è detto, ancora, che un attore non possa essere il ricevente diretto di un testo di un
autore. In realtà, come dice Taviani, i rapporti tra funzioni sono spesso inestricabili e complesse,
difficilmente ordinabili in maniera lineare.
Un modello più adeguato è forse quello di Lotman. Lotman distingue l’autointerpretazione (io – io) dalla
trasmissione di informazioni (io – egli). Il rapporto io – io è quello che troviamo nella fase di elaborazione
dello spettacolo, quello di autoarricchimento interno in rapporto a tutte le relazioni; il modello io – egli è
quello della rappresentazione. È interessante notare come il secondo modello sia poi quello di Eco, dove il
ricevente è lo spettatore, l’unico vero ricevente, e l’emittente è il risultato di tutti i contributi operativi.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
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